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martedì 5 maggio 2009

Dalla P2 alla P3: il Papa / 1

Dalla P2 alla P3: il Papa / 1

Stiamo arrivando a oggi. Oggi, per esempio, è un giorno in cui si
parla di un crocefisso appeso in una scuola. Ecco, non è che non se ne
parlasse anche ieri, soltanto che al posto della scuola c'era una
banca. Pubblico alcuni illuminanti passi da un testo straordinario,
che consiglio a chiunque di comprare e leggere attentamente: si tratta
di All'ombra del Papa infermo (Kaos edizioni), scritto dai Luther
Blissett del Vaticano: “Discepoli di Verità” è una sigla dietro la
quale si nasconde infatti un gruppo di prelati e di funzionari
vaticani. L'incredibile reportage, partorito dall'interno di San
Pietro, è una mappa per il futuro e un saggio analitico su quanto poco
si sa dell'attuale Pontefice e delle lotte decisive che si sono svolte
si stanno svolgendo alle sue malferme spalle. Malferme? Non poi così
tanto. Certo meno malferme di quelle del banchiere Roberto Calvi
(nella foto a sinistra). Se ieri è anche oggi, vale la pena di
leggersi questa parabola non proprio evangelica...


P2, IOR, CALVI
dei Discepoli di Verità


Sette giorni dopo l'attentato di piazza San Pietro, il 20 maggio 1981,
la magistratura milanese dispose l'arresto cautelare del banchiere
catto-massone Roberto Calvi, accusato di frode e reati valutari. Il
precedente 5 febbraio, in relazione al crac di Michele Sindona, era
stato arrestato anche l'amministratore delegato dello Ior, il laico
Luigi Mennini.
La detenzione di Calvi suscitò grande allarme tra le Sacre mura: si
temeva quanto il banchiere massone avrebbe potuto raccontare ai
magistrati milanesi. Il 6 giugno, nel corso di un colloquio in
carcere, il presidente dell'Ambrosiano affidò a sua moglie e a sua
figlia un biglietto da recapitare in Vaticano con scritto: «Questo
processo si chiama Ior»; appena le due donne uscirono dal carcere,
Alessandro Mennini (figlio di Luigi Mennini, e dirigente del Banco
Ambrosiano) tentò di impossessarsi del biglietto intimando Ioro di non
nominare mai la banca vaticana, «nemmeno in confessione». Calvi
sosteneva infatti che le operazioni valutarie illecite che lo avevano
portato in carcere le aveva effettuate per conto della banca papale,
dunque voleva essere soccorso dalla Santa Sede.
Mentre Calvi era detenuto e il Pontefice era infermo, la dirigenza del
Banco Ambrosiano e i vertici dello Ior si incontrarono in Vaticano.
Secondo il direttore generale dell'Ambrosiano, Roberto Rosone, «in
quel colloquio monsignor Marcinkus disse che non c'erano problemi, ma
che bisognava attendere la scarcerazione di Calvi per parlare con
lui... In quell'incontro non vennero pronunciati nomi di società, né
si parlò di cifre. Monsignor Marcinkus fece solo gli auguri per un
pronto rientro del presidente [Calvi, ndr], e parlò di collaborazione
che andava proseguita con la dovuta chiarezza e riservatezza».
L'agente massone Francesco Pazienza racconterà che durante la
detenzione di Calvi venne mandato da monsignor Marcinkus a Nassau per
convincere il figlio del banchiere, Carlo, a desistere dal creare
problemi al Vaticano: «Carlo Calvi, dalle Bahamas, dava i numeri:
inviava telex e telefonava continuamente in Vaticano dicendo cose di
tutti i tipi... "Passatemi il Papa, passatemi monsignor
Silvestrini"... Venni alIora mandato a Nassau per tenerlo sotto
controllo, e da lì ricordo che richiamammo monsignor Marcinkus per
fargli capire che Carlo Calvi era tranquillo e che non c'erano
problemi». L'agente massone sosterrà inoltre che - sempre durante il
periodo della detenzione di Calvi - ebbe alcuni incontri con monsignor
Marcinkus «per definire le modalità dell'aiuto che lo Ior doveva
prestare a Calvi».
A fine giugno Roberto Calvi venne processato a Milano per
direttissima, e durante il processo le manovre vaticane per zittire il
banchiere massone si moltiplicarono. Testimonierà suo figlio Carlo:
«Durante il processo di Milano a mio padre, Pazienza mi disse che
monsignor Giovanni Cheli, rappresentante del Vaticano all'Onu, mi
voleva vedere subito e assolutamente. Io alIora presi l'aereo e andai
a New York insieme a Pazienza. Appena arrivai, Pazienza mi portò in un
appartamento di Manhattan dove ad aspettarmi c'era un noto mafioso,
già amico di Sindona e di Gelli, e un prete poi arrestato per
contrabbando di opere d'arte. Ebbene, questi due signori mi
raccomandarono di essere gentile con monsignor Cheli, e soprattutto di
dar retta ai suoi consigli. Quindi tutti insieme - cioè Pazienza, il
mafioso, il prete e io - andammo all'Onu, dove Cheli ci ricevette nel
suo ufficio. Monsignor Cheli, in termini diplomatici, mi disse in
sostanza quello che già monsignor Marcinkus mi aveva detto al
telefono; dire a mio padre di stare zitto, di non svelare nessun
segreto e di continuare a credere nella Provvidenza».
I "segreti vaticani" che Calvi doveva tacere ai magistrati italiani
erano legati, in particolare, a varie società-fantasma (Astolfine Sa,
Bellatrix Sa, Belrosa Sa, Erin Sa, Laramie Inc, Starfield Sa), tutte
domiciliate nel paradiso fiscale di Panama, e possedute da tre
holding: la Utc (United Trading Corporation, proprietà dello Ior e
domiciliata a Panama), la Manie e la Zitropo (con sede in Lussemburgo,
entrambe partecipate dallo Ior). Le otto società-paravento erano i
terminali «dei traffici di Calvi e Marcinkus, ultima spiaggia della
banca vaticana che sfruttava il Banco Ambrosiano Overseas di Nassau,
alle Bahamas, quale "ponte" per ingarbugliare le tracce dei capitali
succhiati dalle cassaforti del Banco Ambrosiano di Milano e dispersi
nel mar dei Caraibi». Erano in pratica gli strumenti di operazioni
finanziarie occulte. Come appureranno i liquidatori dell'Ambrosiano
dopo il crac, le varie società-paravento del duo Marcinkus-Calvi al 17
giugno 1982 avevano drenato dal gruppo bancario milanese «un miliardo
e 188 milioni dì dollari, più 202 milioni di franchi svizzeri», senza
che se ne potesse appurare la destinazione finale: una parte certo
utilizzata da Calvi e dalla P2, ma un'altra parte - con altrettanta
certezza - utilizzata dal banchiere di papa Wojtyla.
Anni di simili scorribande ai danni dal Banco Ambrosiano erano nodi
che stavano arrivando al pettine, e i due principali protagonisti
erano impegnati da mesi nella partita finale. Monsignor Marcinkus
voleva svincolare al più presto le finanze vaticane dal pericolante
partner catto-massone, e recidere ogni legame fra la banca papale e
l'Ambrosiano mantenendo segreti i rapporti pregressi. Calvi, da parte
sua, contava sul soccorso della banca papale per evitare la
bancarotta. La contesa era comprensiva di un "grande ricatto",
raccontato così dallo stesso Calvi: «Io gli ho detto sul muso a
Marcinkus: "Guardi che se per caso risulta da qualche contabile che
gira per New York che lei manda dei soldi per conto di Wojtyla a
Solidarnosc, qui in Vaticano fra poco non c'è più pietra su pietra". E
quando ho visto che lui non diceva niente sono andato avanti... AlIora
Marcinkus ha cambiato discorso, si è messo a parlare del Casaroli che
interferisce...».
Il dirigente del settore estero del Banco Ambrosiano, Giacomo Botta,
dichiarerà ai magistrati milanesi che «il dominio dello Ior sul Gruppo
del Banco Ambrosiano era reso palese da una lunga serie di
circostanze: la fulminea carriera di Alessandro Mennini [figlio
dell'amministratore delegato dello Ior, Luigi, ndr], entrato
inopinatamente in banca con il grado di vicedirettore; il
trasferimento dallo Ior al Gruppo Ambrosiano della Banca Cattolica del
Veneto, cui non era seguito cambiamento alcuno nella direzione e
nell'organo di amministrazione; il finanziamento cospicuo dello Ior
(150 milioni di dollari) che aveva aiutato la neonata società
Cisalpine [poi Baol-Banco Ambrosiano Overseas Limited, ndr] ad
affermarsi come banca; la presenza di monsignor Marcinkus nel
consiglio di amministrazione della stessa banca di Nassau; la gelosia
con la quale Calvi custodiva e gestiva il proprio esclusivo rapporto
con lo Ior; l'appartenenza allo Ior di Ulricor e Rekofinanz, azioniste
del Banco Ambrosiano, nonché di quattro società titolari dei pacchetti
di azioni del Banco Ambrosiano che la Rizzoli aveva costituito in
pegno per un finanziamento ottenuto da Baol». Botta dirà ancora: «Già
nel 1977-78, quando divenni consigliere [del Banco di Managua], Calvi
mi disse che il gruppo che controllava il pacchetto di controllo
dell'Ambrosiano era lo Ior, che deteneva all'estero una consistente
partecipazione del Banco. Seppi anche che le società che a quell'epoca
l'Ambrosiano di Managua finanziava erano del Vaticano. Calvi
probabilmente intendeva mettermi al corrente di questi segreti che lui
tutelava gelosamente e intendeva altresì giustificare i finanziamenti
dicendo che erano imposti dal Vaticano, che era in sostanza il padrone
del Banco Ambrosiano».
Il 20 luglio il Tribunale di Milano dichiarò Calvi colpevole di frode
valutaria, e lo condannò a 4 anni di prigione e a 15 miliardi di
multa. Il banchiere catto-massone ottenne la libertà provvisoria in
attesa del processo d'appello.
Poche settimane dopo Calvi si recò in Vaticano, da monsignor
Marcinkus, nella sede dello Ior. Era la resa dei conti, e ne sortì un
accordo truffaldino. Calvi firmò un documento che liberava la banca
del Papa e Marcinkus da ogni responsabilità per l'indebitamento delle
società panamensi verso il Gruppo Ambrosiano; in cambio, ottenne dallo
Ior lettere a garanzia della situazione debitoria di quelle stesse
società, con scadenza 30 giugno 1982. Attraverso le lettere di
patronage della banca del Papa, e entro quella data, Calvi avrebbe
dovuto trovare gli ingenti capitali necessari al salvataggio del suo
impero finanziario.
In realtà Calvi non voleva perdere la preziosissima partnership della
banca vaticana, anzi intendeva renderla organica e ufficiale. Ed
essendo ormai bruciati i rapporti con la fazione massonico-curiale,
decise di rivolgersi a quella avversa, con l'obiettivo di arrivare a
coinvolgere l'Opus Dei. L'interlocutore del banchiere massone fu il
cardinale Pietro Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause
dei santi e caposaldo curiale della fazione opusiana.
Cardinale di Curia dal 1973, da sempre vicinissimo all'Opus Dei,
Pietro Palazzini era «un personaggio molto chiacchierato [anche] per
l'amicizia che lo aveva legato a Camillo Cruciani, alto dirigente
della Finmeccanica, fuggito in Messico in seguito allo scandalo
Lockheed nel 1976».
Per 143 giorni, cioè fino al 7 ottobre 1981, quando papa Wojtyla
interruppe la convalescenza e tornò brevemente in Vaticano per la
prima udienza generale dopo l'attentato del 13 maggio, la Chiesa di
Roma restò di fatto senza Pontefice. Cinque mesi nel corso dei quali
la forzosa cogestione del potere vaticano da parte delle due fazioni
in guerra si rivelò difficile ma possibile, e tutto sommato
conveniente per entrambe. Ne fu un esempio concreto il
commissariamento della celebre Compagnia di Gesù, deciso in Vaticano
dalle due fazioni per una volta concordi nel colpire un'organizzazione
- quella dei gesuiti - verso la quale nutrivano entrambe una forte
ostilità.
Pochi giorni prima che il Santo Padre tornasse in Vaticano, il 29
settembre, la Santa Sede diramò una notizia stupefacente: il
presidente della banca vaticana, monsignor Paul Marcinkus, era stato
nominato dal Papa convalescente anche pro­presidente della Pontificia
commissione per lo Stato della Città del Vaticano ; il capo dello Ior
e neo-governatore dello Stato vaticano, inoltre, era stato promosso al
rango di arcivescovo, in attesa di ricevere la porpora.
La notizia della nuova carica cumulata da monsignor Marcinkus (il
quale in pratica era divenuto il capo assoluto di tutte le finanze
vaticane) suscitò sorpresa e sconcerto nella stessa Curia. Un
monsignore della Segreteria di Stato riferì che il cardinale Casaroli
era «furibondo»: da tempo infatti il segretario di Stato e il capo
dello Ior erano ai ferri corti. La stessa pre­investitura cardinalizia
dell'arcivescovo americano alimentò molte congetture in Vaticano, e
reazioni polemiche all'esterno - il giornalista laico Eugenio Scalfari
scriverà: «Dio illumini papa Wojtyla e gli trattenga la mano! Se poi
Dio volesse compiere il miracolo, suggerirebbe forse al suo Vicario di
accertare gli equivoci traffici del suo vescovo-finanziere e di
licenziarlo sui due piedi. Una figura così alta e ispirata come quella
di Giovanni Paolo II non può essere socia in affari con Licio Gelli,
con Michele Sindona e con le società panamensi di Roberto Calvi».
I nuovi poteri - soprattutto finanziari - attribuiti dal Papa a
monsignor Marcinkus erano strettamente collegati alla sempre più
esplosiva situazione interna della Polonia.
Da alcune settimane, a Varsavia, erano in corso frenetiche trattative
fra il governo e Solidarnosc mediate dall'episcopato polacco in
costante contatto con l'entourage del Papa convalescente. Il congresso
di settembre del sindacato aveva confermato la leadership moderata di
Walesa, ma solo di misura (poco più del 50 per cento dei delegati)
rispetto alle istanze radicali: il sostegno politico-finanziario del
Vaticano era risultato decisivo per la prevalenza della linea
moderata, ma il pericolo che Solidarnosc assumesse posizioni più
intransigenti e "rivoluzionarie" era concreto e incombente. Così le
pressioni sovietiche sul regime polacco si erano fatte più minacciose
e ultimative, e il governo di Varsavia aveva attribuito a Solidarnosc
la responsabilità di condurre la Polonia verso un bagno di sangue,
anche perché la situazione economica del Paese era ai limiti del
collasso.
Fu proprio in quei giorni d'inizio autunno che a monsignor Marcinkus,
gestore di tutte le finanze vaticane, pervenne l'esplicita richiesta -
avanzata dall'ala radicale di Solidarnosc e sostenuta da ambienti
atlantici - di finanziare la militarizzazione del sindacato cattolico
polacco in vista di un'insurrezione. Erano già disponibili partite di
armi, mentre in Germania e Austria erano state allestite alcune basi
di addestramento alla guerriglia. L'assoluta contrarietà del clero
polacco, del Pontefice, e dello stesso Marcinkus, vanificarono il
progetto. Secondo un monsignore di Curia, verso la fine del 1981 il
capitano della Guardia svizzera Alois Estermann si recò alcune volte,
in incognito, a Danzica e a Varsavia, per coordinarvi l'arrivo di
imprecisato "materiale" proveniente dalla Scandinavia e destinato al
sindacato cattolico polacco.
La fazione opusiana appoggiava con veemenza il sostegno papale a
Solidarnosc: per questo accettava che le finanze vaticane restassero
nelle mani di monsignor Marcinkus, e che l'arcivescovo americano si
facesse carico dei rischiosi finanziamenti segreti a Walesa. Anche la
Loggia P2 - in dissenso dalla fazione massonico-curiale, a maggioranza
fautrice dell'Ostpolitik - approvava i finanziamenti "anticomunisti" a
Solidarnosc, che infatti avevano nel Banco Ambrosiano del piduista
Calvi l'alveo di erogazione privilegiato.
Dichiarerà il massone Pier Carpi: «Gelli sosteneva che aveva versato
nelle casse del Vaticano [tramite il Banco Ambrosiano, ndr] quasi 50
milioni di dollari per la causa polacca. Diceva: "In Polonia, come in
tutti i Paesi a dittatura comunista, la Chiesa e la massoneria debbono
essere unite come non mai, perché entrambe sono perseguitate". Non gli
piaceva, però, Lech Walesa: lo considerava un capopopolo... Ma in
Vaticano lo avevano rassicurato: "Walesa è un degno figlio della
cattolica Polonia, un simbolo attorno al quale è stato possibile
indirizzare la protesta. Ma, al momento di trattare, Walesa si farà da
parte, tornerà nell'ombra, perché avrà esaurito il suo compito: quello
di mettere di fronte, per arrivare a un accordo, una Chiesa forte con
uno Stato forte"» Lo stesso capo della P2 Licio Gelli ricorderà: «Nel
settembre 1980 Calvi mi confidò di essere preoccupato perché doveva
pagare una somma di 80 milioni di dollari al movimento sindacale
polacco Solidarnosc, e aveva solo una settimana di tempo per versare
il denaro». Anni dopo emergerà che anche una parte dei 7 milioni di
dollari fatti affluire nel biennio 1980-81 dalla P2 - tramite
l'Ambrosiano - sul conto svizzero "Protezione" a beneficio del
politico italiano "anticomunista" Bettino Craxi, venne utilizzata «per
aiuti ai polacchi di Solidarnosc».
Giovanni Paolo II concluse la convalescenza e tornò in Vaticano alla
metà di ottobre 1981: duramente segnato, era l'ombra di se stesso.
Secondo una voce proveniente dal suo entourage, il Santo Padre era
consapevole che la regia dell'attentato poteva essere in Vaticano, o
che tra le Sacre mura poteva esservi stata qualche decisiva connivenza
con gli attentatori, e che il fatto poteva essere collegato alla sua
decisione di elevare l'Opus Dei a Prelatura personale. Ed è forse per
questo che accettò una "speciale protezione" opusiana, di lì a poco
visibile nella persona del capitano della Guardia svizzera Alois
Estermann, nuova guardia del corpo del Pontefice. Nei dicasteri
curiali si mormorava che il Santo Padre - ancora scioccato
dall'attentato subito - fosse tormentato da una umanissima paura.
Il 14 novembre la Congregazione per i vescovi, retta dal cardinale
Sebastiano Baggio, inviò alle Conferenze episcopali una "Nota
informativa riservata" che annunciava: «Il Santo Padre ha decretato
l'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale, approvandone i
relativi Statuti. Per disposizione espressa del Santo Padre, i Vescovi
vengono informati circa le caratteristiche concrete della Prelatura e
la reale portata del provvedimento preso». Lo scopo della nota, lunga
tre cartelle dattiloscritte, era di tranquillizzare l'episcopato, ma
in realtà confermava tutti i timori dei vescovi, con l'aggravante del
fatto compiuto: malgrado le forti opposizioni, il decreto papale che
avrebbe accordato all'Opus Dei la Prelatura personale sembrava cosa
già fatta.
Benché fosse "riservata" e coperta dal "segreto pontificio", la nota
del cardinale Baggio finì sulle pagine del quotidiano tedesco
"Frankfurter Allgemeine Zeitung". L'Opus Dei, a quel punto, si
affrettò ad annunciare che molti vescovi, da ogni parte del mondo,
esprimevano all'Obra le loro più vive felicitazioni per il prestigioso
riconoscimento ottenuto. Ma la manovra venne smascherata nel volgere
di pochi giorni.
Comincia a non vederci chiaro il cardinale Eduardo Pironio, capo della
Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari. Si accorge che
nella "Nota informativa", su carta intestata della Congregazione per i
vescovi, mancano il numero di protocollo e la firma di un
responsabile, contrassegni di rigore per ogni carta curiale, specie se
destinata ai vescovi. Pironio rifiuta perciò di autorizzare
l'archiviazione del documento in attesa di chiarimenti circa la
paternità del medesimo.
Arrivano poi, sempre più incalzanti, le richieste di spiegazioni di
alcuni vescovi italiani. La "Nota" è stata mandata anche alla
Conferenza episcopale italiana, tramite il nunzio Romolo Carboni
[della cordata opusiana, ndr]. E nella sua lettera di accompagnamento,
i vescovi notano una contraddizione: prima si fa sapere che "la Nota
non ha il carattere di una consultazione", poi che la Nunziatura "avrà
cura di segnalare con ogni sollecitudine alla Sacra Congregazione per
i vescovi gli eventuali suggerimenti e osservazioni che le
perverranno". Il tutto con la "viva raccomandazione di tenere la
notizia del provvedimento pontificio sotto speciale segreto fino al
giorno della sua pubblicazione ufficiale, che verrà a suo tempo
notificata". La questione posta a Roma dai vescovi è la seguente: se
il Papa ha già deciso, come assicura la "Nota" del cardinale Baggio,
perché mandare suggerimenti e osservazioni? O la decisione è ancora
"in fieri"? La risposta arriva dalla Congregazione dei religiosi ed è
clamorosa: "Non c'è alcun decreto". Come dire che la "Nota
informativa" aveva bluffato. E con un obiettivo preciso: quello di
suscitare una massa tale di consensi tra i vescovi, per una decisione
ritenuta già firmata dal Papa, da seppellire ogni dissenso e
assecondare il varo del decreto nelle forme volute dall'Opus Dei e
riferite nella "Nota".
La manovra della "Nota informativa" del 14 novembre 1981, orchestrata
dall'Opus Dei per accelerare l'ottenimento dello status di Prelatura
personale, confermava che il convalescente Giovanni Paolo II era in
stato d'assedio: incalzato dalla fazione opusiana (che era arrivata al
punto di attribuirgli un decreto inesistente), frenato da quella
massonico-curiale.
Il 2 dicembre, a Londra, l'arcivescovo di Westminster cardinale Basil
Hume, conclusa l'inchiesta sull'Opus Dei avviata il precedente gennaio
dopo la pubblica denuncia del docente universitario John Roche, ribadì
ai responsabili dell'Obra britannico la propria autorità vescovile su
tutta la Chiesa locale. Quindi li invitò a «rispettare la libertà
dell'individuo di aderire all'organizzazione o di lasciarla senza che
vengano esercitate ingiuste pressioni», e a garantire «la libertà per
l'individuo di scegliere il proprio direttore spirituale, che sia o no
membro dell'Opus Dei». Il cardinale Hume stabilì infine che «nessuna
persona al di sotto dei 18 anni deve essere autorizzata a pronunciare
voti o ad assumere impegni a lungo termine in riferimento con l'Opus
Dei».
Intanto, il precedente 25 novembre era approdato al vertice della
Curia romana - nominato prefetto della Congregazione per la dottrina
della fede - il cardinale Joseph Ratzinger. Arcivescovo di Monaco dal
marzo 1977, teologo che durante i lavori conciliari si era segnalato
per le sue posizioni progressiste e innovatrici, Ratzinger era il
primo porporato tedesco cui veniva assegnata una poltrona al vertice
della Curia vaticana. Con quella nomina, la potente "ala tedesca"
della Chiesa incassava il sostegno fornito all'elezione di Giovanni
Paolo II. Un avvento voluto e benedetto dalla fazione opusiana, poiché
il nuovo custode dell'ortodossia dottrinaria di Santa Romana Chiesa,
ex progressista "pentito", era da tempo schierato su posizioni
integraliste, e si rivelerà subito un falco restauratore. Al punto da
guadagnarsi l'appellativo curiale di Adolf Ratzinger (nonché quello,
appena più benevolo, di Panzerkardinal), e una laurea honoris causa
dall'università dell'Opus Dei di Pamplona.
In Polonia la situazione precipitò ai primi di dicembre 1981. Nuovi
scioperi e rivendicazioni di Solidarnosc, un ulteriore aggravamento
della crisi economica, e le minacce di invasione da parte dell'Urss
(con voci di movimenti di truppe sovietiche ai confini), indussero il
generate Jaruzelski - ministro della Difesa, capo del governo, e dal
precedente 18 ottobre anche segretario del Partito comunista polacco -
a dichiarare lo "stato d'assedio" revocando le garanzie
costituzionali.
La dirigenza di Solidarnosc - a partire dal leader Walesa - venne
arrestata e incarcerata, radio e tv di Stato informarono i polacchi
che tutti i poteri erano stati assunti da un consiglio militare "di
salvezza nazionale". Scoppiarono alcuni tumulti, nel corso dei quali
persero la vita 9 lavoratori e 4 militari: un dramma molto contenuto,
rispetto a quanto avrebbe potuto accadere. Il colpo di Stato
sostanzialmente incruento del generale Jaruzelski salvò in pratica la
Polonia dall'invasione sovietica e da un immane bagno di sangue.
In Vaticano, nelle stanze della Segreteria di Stato, le notizie
provenienti da Varsavia resero il clima plumbeo. Il cardinale
Casaroli, benché all'apparenza imperturbabile, era fuori dalla grazia
di Dio. Non erano pochi i curiali che ritenevano il Sommo Pontefice
corresponsabile della tragedia polacca, gravida di incognite ben più
sanguinose. Si temeva, sopra ogni altra cosa, che emergessero i
finanziamenti vaticani a Solidarnosc, e che il sindacato-partito
cattolico voluto e sostenuto da Giovanni Paolo II a quel punto
sfuggisse al controllo politico papale imboccando la strada
dell'insurrezione.
Il Pontefice rivolse un appello «pressante e sincero» al generale
Jaruzelski, «una preghiera affinché abbia fine lo spargimento di
sangue polacco». Nel corso dei suoi notiziari, la Radio vaticana
annunciò in 36 lingue: «È in atto un dramma che ha ancora le
possibilità di risolversi in positivo, nonostante l'alto costo di
sofferenza pagato dai polacchi. Ma nessuno si nasconde che tra le
possibilità esiste anche quella del peggioramento», ed esortò i fedeli
a raccogliere gli appelli del Papa alla «preghiera di tutti i
cristiani».
Il 18 dicembre Giovanni Paolo II inviò a Varsavia monsignor Luigi
Poggi, il quale venne ricevuto dal generale Jaruzelski alla vigilia di
Natale. L'episcopato polacco era ormai completamente scavalcato, il
Sommo Pontefice era coinvolto in prima persona nella crisi polacca.
Dall'entourage papale trapelò la voce che il Santo Padre, ancora
segnato dai postumi psicofisici dell'attentato subito, versasse in uno
stato di ulteriore prostrazione psicologica per l'aggravarsi della
crisi polacca, e che avesse minacciato di lasciare il Vaticano per
trasferirsi a Varsavia qualora la situazione fosse degenerata.
Nel dicembre 1981 il finanziere Carlo De Benedetti, da pochi giorni
vicepresidente e azionista dell'Ambrosiano (il 18 novembre aveva
acquistato per 50 miliardi il 2 per cento del Banco), tentò di
appurare con precisione quali rapporti legassero la banca di Calvi e
la P2 alla banca del Papa:
«All'atto del mio ingresso nel Banco era fatto ampiamente notorio che
lo Ior detenesse anche ufficialmente una partecipazione nel Banco
Ambrosiano. Inoltre era fatto notorio che monsignor Marcinkus sedeva
nel consiglio di amministrazione del Banco Ambrosiano Nassau. Devo
precisare che ho specificamente chiesto a Calvi quale fosse
l'effettiva partecipazione di Ior e se il suddetto avesse una
esposizione debitoria, e quale, nei confronti del Banco. Calvi mi
rispose in maniera estremamente elusiva dicendo trattarsi di cose
particolarmente riservate. Devo dire che le mie preoccupazioni al
riguardo, in ordine all'esigenza di veder chiaro su questo aspetto
dell'attività del Banco, nascevano dalle tante notizie, di stampa e
non; dallo stesso contenuto, per quanto pubblico, della relazione
sull'ispezione effettuata dalla Banca d'Italia all'Ambrosiano nel
1978; dal fatto che monsignor Marcinkus sedesse nel consiglio di
amministrazione dell'Ambrosiano Overseas di Nassau [...].
Devo dire che il fatto che Calvi eludesse ogni domanda di spiegazioni
al riguardo contribuiva ad alimentare i miei sospetti in ordine alla
natura e all'entità dei rapporti Ambrosiano-Ior. Fu per questo che
tentai di vederci più chiaro per altra via, attraverso un incontro
privato con monsignor Achille Silvestrini della Segreteria di Stato
vaticana.
L'incontro avvenne a Roma, nella mia abitazione, presente - in veste
di amico e per un fatto di pura cortesia - l'onorevole Rognoni [il
ministro dell'Interno e deputato Dc Virginio Rognoni, ndr]. Nella
occasione, partendo io dalla esplicita affermazione essere il
presidente dello Ior Marcinkus "un ladro" e apparirmi inconcepibile
che uno Stato come il Vaticano avesse le proprie finanze affidate a un
tipo così, rappresentai la necessità, nell'interesse del Vaticano, che
si guardasse bene nell'attività dello Ior e nei rapporti Ior-
Ambrosiano. Monsignor Silvestrini, con aria addolorata, prese atto del
mio parlare esplicito e fermo, e mi disse che neppure loro -
riferendosi anche al cardinale Casaroli - sapevano granché
dell'attività dello Ior, e mi invitò a fornirgli un appunto affinché
egli stesso potesse parlarne al Pontefice. Rammento che a proposito
della mia definizione di monsignor Marcinkus, il predetto monsignor
Silvestrini si strinse nelle spalle e disse trattarsi di una
"pecorella smarrita"».
Il successivo 22 gennaio 1982 De Benedetti, sottoposto a pressioni e
minacce, lasciò il Banco Ambrosiano cedendo la propria quota del 2 per
cento allo stesso Calvi, per una somma che procurerà al finanziere
l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta e una vicenda
giudiziaria lunga e tortuosa conclusasi con l'assoluzione. Dirà ancora
De Benedetti: «Ho riflettuto a lungo su quanto mi disse monsignor
Silvestrini nel dicembre '81, per cercare di interpretare il
comportamento di Marcinkus. Avevo capito fin da allora che con
Silvestrini non si poteva parlare di Marcinkus. Così come mi fu
altrettanto chiaro che questo vescovo americano doveva avere un
rapporto assolutamente particolare con il Papa. Del resto, già allora
si diceva che Marcinkus raccogliesse soldi per la Polonia».
L'avvocato Giuseppe Prisco, dal 1980 membro del consiglio di
amministrazione dell'Ambrosiano, dichiarerà: «Calvi era considerato il
padrone del Banco... Una volta gli chiesi quante azioni del Banco
avesse, e egli mi rispose che non ne aveva nemmeno una. Volli sapere
allora a chi appartenevano le varie società estere che risultavano tra
i maggiori azionisti del Banco, [e lui] fece un segno verso il cielo.
Alludeva al Padre eterno, e più in particolare ai suoi rappresentanti
in terra. Mi disse invero che quelle società erano dello Ior, e quindi
che in sostanza l'Ambrosiano era controllato dallo Ior. Il problema di
chi fosse [la proprietà del] Banco Ambrosiano io me l'ero sempre
posto; mi incuriosiva il fatto che le relazioni degli amministratori
si concludessero con un ringraziamento alla Divina provvidenza per gli
utili conseguiti. Mi ero convinto pertanto di essere effettivamente
entrato in quella che era chiamata la banca dei preti».
In Vaticano la fazione massonico-curiale era molto più radicata e
potente di quella opusiana, ma anche molto meno compatta. Alla storica
divisione fra concezioni innovative e conservatrici che la
percorrevano, l’intrigo Ior-Ambrosiano, e l'intesa di monsignor
Marcinkus con il Pontefice, avevano accentuato le divisioni intestine.
Il conflitto più lacerante vedeva contrapposti il capo dello Ior e il
cardinale Casaroli.
Il segretario di Stato, in perenne dissenso dal Pontefice rispetto
alla pericolosa politica wojtyliana verso la Polonia comunista e il
blocco sovietico, considerava gravissimo il fatto che lo Ior,
attraverso il Banco Ambrosiano, finanziasse Solidarnosc: il cardinale
Casaroli riteneva concreto e incombente il rischio che la morsa del
regime comunista di Varsavia sulla Chiesa polacca si stringesse, o che
la situazione del Paese degenerasse in una guerra civile; temeva sopra
tutto un intervento militare diretto dell'Urss, che avrebbe vanificato
anni e anni di Ostpolitik ed esposto l'Europa al rischio di un terzo
conflitto bellico mondiale.
Con il divenire dello scandalo Ior-Calvi-Ambrosiano, la figura di
Marcinkus si faceva sempre più ingombrante per la fazione massonico-
curiale, proprio mentre il potere del presidente della banca papale,
nominato anche governatore dello Stato vaticano, era aumentato a
dismisura. Il cardinale Casaroli intendeva recidere i legami Ior-
Ambrosiano mediante una trattativa diplomatica e una transazione
finanziaria; monsignor Marcinkus era assolutamente contrario a una
simile eventualità, ritenendo che la Santa Sede dovesse limitarsi a
negare qualunque responsabilità dello Ior nell'imminente bancarotta
dell'Ambrosiano. Il presidente della banca papale costituiva ormai nei
fatti un elemento di debolezza per la fazione curiale, e un oggettivo
complice della fazione avversa.
Gli echi del contrasto Casaroli-Marcinkus finiranno nelle memorie del
massone Francesco Pazienza. L'agente-collaboratore del servizio
segreto militare italiano racconterà di essere stato mandato in
Vaticano dal capo del Sismi, il generale massone della P2 Giuseppe
Santovito, su richiesta della Segreteria di Stato vaticana, per
incontrare il braccio destro del cardinale Casaroli, monsignor Pier
Luigi Celata:
«Monsignor Celata prese la questione alla larga. Ma poi, a poco a
poco, arrivò al nocciolo... Il nocciolo della questione aveva un nome
e cognome: monsignor Paul Marcinkus, il potentissimo capo della banca
vaticana, lo Ior... La richiesta di monsignor Celata era questa:
bisognava fare in modo che il vescovo di Chicago mollasse la presa
sullo Ior. Sarebbe toccato a me scoprire come. Ma, in realtà, c'era un
unico sistema: trovare un'adeguata documentazione che dimostrasse come
le attività della banca [del Papa] e del suo capo non erano proprio
consone a quelle della Chiesa cattolica. In poche parole, bisognava
creare uno scandalo... Mi accomiatai dal prelato, dicendogli che gli
avrei fornito una risposta quanto prima sull’accettazione di
quell'incarico. "Per comunicazioni fuori dai consueti orari, lei potrà
contattarmi presso l'Istituto San Giuseppe, dove c'e la mia
abitazione", mi disse prima di salutarmi [...].
Era chiaro che era in corso un durissimo scontro di potere ad
altissimo livello all'interno della Curia romana. Ed era anche chiaro
che le motivazioni di ordine morale, o moralistico, che monsignor
Celata mi aveva fornito ("Bisogna far si che lo Ior smetta di svolgere
attività poco consone a quelle di Santa Madre Chiesa") non era
certamente quella vera. Ci doveva essere qualcosa di ben più grande e
preoccupante. E la vicenda non poteva certo considerarsi frutto di
antipatie personali o di problemi tra questo e quel prelato [...].
Nel vagliare le informazioni che le mie fonti mi facevano arrivare,
accadde quello che spesso succede quando entra in campo quella
variabile indipendente legata al caso e alla fortuna. Ovvero che una
di queste mie fonti fosse, nello stesso tempo, anche depositaria di
documenti e d'informazioni che erano proprio del tipo richiesto e
cercato da monsignor Luigi Celata.
In Svizzera, presso l'avvocato Peter Duft di Zurigo - il quale era
stato consulente del cardinale Egidio Vagnozzi e depositario di molti
documenti dello stesso - ebbi la ventura di rintracciare carte
pericolosamente compromettenti per monsignor Marcinkus, probabilmente
le stesse che il cardinale Casaroli, tramite monsignor Celata, stava
cercando. In effetti erano documenti depositati in Svizzera dal
cardinale Vagnozzi, ormai defunto. Il porporato era. stato un acerrimo
nemico di monsignor Marcinkus, al tempo in cui quest'ultimo lo aveva
scalzato nella gestione delle finanze vaticane. Quindi, si trattava di
documenti che avevano la loro origine proprio all'interno del
Vaticano».
L'agente-collaboratore del Sismi, attivato dalla Segreteria di Stato
vaticana per colpire monsignor Marcinkus, nel corso della sua
"missione" appurò che «il Papa era inviso alla cerchia di coloro che
avrebbero dovuto essere i suoi più stretti e fidati collaboratori» in
quanto papa Wojtyla era «un vero e proprio "alieno" giunto dalla
Polonia e completamente estraneo e avulso dal nocciolo duro dei
prelati italiani che costituivano il nucleo storico della Curia,
abituati a gestire a modo loro, e in maniera assoluta, la complicata
ma quasi perfetta macchina vaticana», al punto che di Giovanni Paolo
II «non ci si poteva fidare»:
«C'era il rischio che quel Papa mettesse a repentaglio il potere
consolidato costruito in tanti anni di lavoro, dentro e fuori le mura
della Santa Sede... Occorreva, dunque, nel disegno di chi deteneva il
potere, "neutralizzare" il nuovo Papa, soprattutto isolandolo e
impedendo che creasse uno staff di persone di assoluta sua fiducia. Il
fatto che si fosse creato, invece, un asse privilegiato tra papa
Giovanni Paolo II e Paul Marcinkus, il quale teneva i cordoni della
borsa e quindi aveva un potere grandissimo, infastidiva non poco i
"congiurati" e li aveva indotti a passare all’azione in modo brusco e
con quelle modalità cosi inconsuete.
Ovviamente, c'erano anche ragioni politiche, e non solo di puro
potere, alla base di questa sorta di "congiura" contro il Papa: le
idee di Karol Wojtyla riguardo ai Paesi del blocco comunista non
collimavano affatto con quelle del suo segretario di Stato, il quale,
negli ultimi anni del lungo pontificato di papa Montini, aveva
intessuto una serie d'iniziative diplomatiche molto raffinate e
complesse col Cremlino e le altre capitali dell'Est europeo. Ma tale
raffinatezza e tali intrecci non sembravano aver favorevolmente
colpito il Pontefice e le sue idee in proposito. Anzi, Wojtyla, fin
dalle sue prime mosse, dal punto di vista "politico" aveva lasciato
intuire che il Vaticano sarebbe andato nella direzione di una linea
dura, di scontro frontale con Mosca e i Paesi satelliti».
Francesco Pazienza era effettivamente di casa in Vaticano, e tra le
Sacre mura «aveva importanti relazioni: una volta, a casa sua, ho
incontrato monsignor Giovanni Cheli, che credo fosse l'ambasciatore
del Vaticano presso l'Onu» . Soprattutto, l'agente massone era una
specie di fiduciario di monsignor Achille Silvestrini, presso il quale
aveva introdotto lo stesso capo del Sismi, il generale massone
Giuseppe Santovito. Racconterà Pazienza: «Conoscevo monsignor
Silvestrini da più di due anni [dal 1978, ndr]. Mi era stato
presentato, nel corso di una delle mie frequenti visite romane, nel
periodo in cui abitavo a Parigi, da monsignor Carlo Ferrero.
Quest'ultimo era un altro personaggio straordinario, l'ideatore di
quella università cattolica di grande prestigio che è stata la Pro
Deo. [...] Venni introdotto nello studio di monsignor Silvestrini.
M'inginocchiai davanti a lui e gli baciai l'anello. La sua accoglienza
fu molto calorosa, amichevole e cordiale. Gli spiegai le ragioni per
cui avevo chiesto di essere ricevuto in udienza. Al termine del lungo
scambio di vedute, chiesi anche il permesso dell'alto prelato per
potergli presentare il direttore dei servizi segreti militari della
Repubblica italiana [il generale Santovito, ndr]. Fu lieto della
richiesta, acconsentì e non nascose la sua meraviglia che questa
conoscenza non fosse avvenuta prima. Oltretutto, ci sarebbero state
anche "ragioni di ufficio


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Dalla P2 alla P3: il Papa / 1

2 commenti:

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  2. Con saluti e vicinanza dal Cav. Attilio De Lisa di Sanza (Sa).
    Una Persona Giusta ed Umana. Ringrazio enormemente Sua Em. Rev. Card. Achille Silvestrini per avermi telefonato subito dopo la mia vestizione del 25-09-2011 al Duomo di Caserta Vecchia nella Cattedrale di San Michele Arcangelo a Cavaliere della Confraternita dei Cavalieri Templari "Ugone dei Pagani",ricevendo anche per ben 2 volte la Benedizione Apostolica da parte del Papa Emerito Benedetto XVI oltre che dal suo Vescovo di riferimento della Diocesi di Teggiano-Policastro Mons. Antonio De Luca,da chi lo ha preceduto Mons. Angelo Spinillo attuale Vescovo di Aversa e Vice-Presidente della C.E.I. e gli auguri dal Presidente della C.E.I. Sua Em. Rev. Card. Angelo Bagnasco,da Sua Em. Rev. Card. Crescenzio Sepe,dalla S.V.,dal Direttore della Sala Stampa dello Stato Vaticano Padre Federico Lombardi e da altri Vescovi Campani.
    Infine si espone una Persona Cattolico Cristiano praticante che è vicino alla Parola del Signore e della Madre Chiesa

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